Tel. + 39 3428184835

articoli - eventi

Perché si ingrassa in menopausa

L’aumento di peso in menopausa è una delle principali paure legate a questo periodo di cambiamento di una donna.

La principale ragione del perché si ingrassa è da ricercare nella diminuzione degli ormoni prodotti dall’ovaio che ha smesso di funzionare. Questo, infatti, comporta un cambiamento nell’assetto metabolico lipidico e glucidico con ripercussioni sulla composizione corporea e sul rischio di sindrome metabolica.

La sindrome metabolica è caratterizzata da sovrappeso (glicemia >100 mg/dl, trigliceridi>150 mg/dl, pressione arteriosa > 130/85) ed è strettamente legata al rischio cardiovascolare in un periodo della vita della donna in cui non è più presente la protezione degli estrogeni. Si ha una diversa distribuzione del grasso corporeo che porta all’aumento del giro vita che diventa patologico sopra gli 88/84 cm.

La causa principale dell’incremento ponderale è ormonale per:

  • la diminuzione del progesterone che porta ad un minor consumo calorico (riduzione metabolismo e riduzione termogenes) e a una riduzione della sensibilità all’insulina,
  • la riduzione degli estrogeni (che determinano anche i sintomi vasomotori cioè le vampate di calore e l’eccesso di sudorazione, sintomi psicologici come irritabilità riduzione tono umore disturbi del sonno, calo del desiderio sessuale, secchezza vaginale, riduzione massa ossea, secchezza pelle), e al contemporaneo aumento del cortisolo prodotto dal surrene.

E se vi state chiedendo cosa vi porta a prediligere carboidrati e dolci, la risposta è da ricercare nell’ansia e nella depressione che possono derivare dalla carenza estrogenica, che favoriscono la liberazione di cortisolo che comporta un cambiamento del gusto, inducendo alla famosa “fame nervosa”. In contemporanea si riduce l’attività fisica che comporta una riduzione della massa muscolare: meno massa muscolare significa meno consumo calorico e quindi ulteriore riduzione del metabolismo basale.

In menopausa si registra una crescita ponderale progressiva di un chilogrammo/anno e una relativa modificazione della circonferenza vita di 0,55/1 cm/anno, che si stabilizza intorno ai 70/80 anni.

Al momento della menopausa circa il 47% delle donne presenta un incremento di peso medio di 5 kg, il 30% 6-15 kg, il 17% oltre 15 kg.

Come e perché evitare l’aumento del peso in menopausa

Sicuramente intervenendo precocemente sui cambiamenti iniziali. La prevenzione è in questo caso fondamentale, seguendo uno stile di vita sano e facendosi guidare da uno specialista nell’alimentazione.

La diminuzione del sovrappeso prima della menopausa è importante anche per il controllo dei sintomi vasomotori. Infatti, la produzione di calore (vampate) è direttamente proporzionale alla massa corporea, quindi si avranno più caldane se in sovrappeso (il grasso in eccesso è una sorta di isolante per il corpo, riduce pertanto la possibilità di diminuire la temperatura corporea). Le vampate, oltre ad essere fastidiose, comportano un incremento dell’infiammazione vascolare che aumenta il rischio di infarti e ictus.

Il testosterone, ormone maschile prodotto comunque dal surrene anche in menopausa, viene convertito in estrogeno nel tessuto adiposo: molto tessuto adiposo porta ad alti livelli di estrogeno che comporta aumento del rischio di sviluppo di neoplasie estrogeno dipendenti come il tumore endometriale e mammario.

In conclusione, quindi, il sovrappeso in menopausa comporta aumentati rischi sia a carico del sistema cardiocircolatorio come infarti, ipertensione arteriosa e ictus, sia a carico del sistema metabolico con comparsa di diabete di tipo 2, sia a carico di neoplasie mammarie ed endometriali, gastrointestinali.

Un’alimentazione sana è quindi fondamentale in questa fase di cambiamento del nostro corpo. È necessario seguire una dieta a basso contenuto calorico con una variazione della qualità dei nutrimenti, privilegiando corrette associazioni di proteine, carboidrati con un basso impatto glicemico, vegetali e grassi antinfiammatori. Per non fare una lotta perdente, ovviamente, è essenziale un incremento dell’attività fisica per aumentare il metabolismo e quindi aumentare il consumo di calorie al giorno.

Ormoni e menopausa: come cambia l’attività ormonale

Come già detto, la menopausa è una condizione strettamente correlata alla variazione degli ormoni sessuali prodotti dalle ovaie. Nel periodo fertile di una donna, le ovaie sono organi ghiandolari deputati alla sintesi di alcuni ormoni e alla maturazione delle cellule uovo destinate alla procreazione. La funzione endocrina delle ovaie consta nella produzione degli ormoni sessuali femminili, quali estrogeni e progesterone, e di una piccola quota di androgeni. Più esattamente, sono i follicoli ovarici portati ciclicamente a maturazione a sostenere gran parte della produzione ormonale dell’ovaio.

A sua volta, l’attività di questi follicoli viene regolata in maniera ciclica dall’ipofisi (tramite il rilascio di gonadotropine LH e FSH). L’ipofisi, una piccola ghiandola controllata dal sistema nervoso centrale (ipotalamo), è capace di modificare continuamente la propria attività in relazione alla situazione ormonale dell’organismo.

Durante il ciclo ovarico si assiste allo sviluppo di più follicoli, con produzione di grandi quantità di estrogeni nella prima metà del ciclo: di questi, soltanto uno giunge a completa maturazione e libera la propria cellula uovo poche ore dopo il picco estrogenico che compare, indicativamente, a metà del ciclo. Ciò che resta del follicolo dopo l’ovulazione subisce una serie di modificazioni che lo portano a sostenere, con il nome di corpo luteo, la produzione di estrogeni e soprattutto di progesterone nella seconda metà del ciclo. Se non avviene la fecondazione, dopo qualche giorno il corpo luteo inizia a regredire fino ad esaurirsi. A quel punto, un nuovo gruppo di follicoli inizia a svilupparsi e il ciclo riprende.

Quando le ovaie cessano di portare a termine la maturazione dei follicoli si assiste, per quanto detto, a una caduta dei livelli di estrogeni e alla scomparsa della produzione ciclica di progesterone. In risposta a tale disequilibrio, l’ipofisi aumenta la sintesi e il rilascio dell’ormone follicolostimolante o FSH, che nella donna è deputato, appunto, a promuovere la crescita dei follicoli ovarici.

In caso di incertezza, per esempio quando la presunta menopausa insorge in età precoce, un semplice esame del sangue può togliere ogni dubbio. Eseguendo un dosaggio ormonale su un campione ematico si andranno a valutare i livelli dell’ormone follicolostimolante (FSH), talvolta associati a quelli dell’ormone luteinizzante (LH), che risultano entrambi superiori alla norma nella fase di menopausa.

Negli anni che precedono la menopausa, il calo di estrogeni non è così evidente come si potrebbe pensare anzi, in molti casi, si osserva addirittura un iperestrogenismo. Il progesterone, invece, diminuisce gradualmente.

In realtà, le cose non sono sempre così semplici e i livelli ormonali in premenopausa possono subire ampie e imprevedibili fluttuazioni. Per questo motivo, il medico ginecologo formulerà la propria diagnosi sulla base della valutazione, del contesto generale, dei sintomi e dei risultati degli esami ematochimici.

A partire dalla premenopausa, le ovaie subiscono un lento declino, divenendo sempre più piccole ed atrofiche. Mano a mano che ci si avvicina alla menopausa, il dosaggio ormonale diviene più chiaro, fino a mostrare l’assenza di progesterone, un calo importante degli estrogeni e un aumento particolare dei livelli di FSH ed LH.

Il calo e la fluttuazione dei livelli di estrogeni sono responsabili di tutta una serie di modificazioni fisiche e psichiche che potremmo definire “sintomi della menopausa”.

Cosa succede alle ovaie dopo la Menopausa? Anche dopo la menopausa, le ovaie continuano a produrre piccole quote di androgeni ed estrogeni, a cui si affiancano quelli sintetizzati nel tessuto adiposo.

Non diventano, quindi, organi inutili.

 

Sintomi e segni della Menopausa

Aumento di peso

Percentuale di donne interessate: 67%

Da cosa dipende: dal calo degli estrogeni e dal conseguente tentativo dell’organismo di aumentare la sintesi dei suddetti ormoni, attraverso l’incremento di attività dell’aromatasi, ossia l’enzima del tessuto adiposo deputato alla conversione degli androgeni in estrogeni. In altre parole, di fronte a un calo degli estrogeni, l’organismo della donna in menopausa risponde con un incremento del tessuto adiposo, in quanto in tale tessuto è presente il sistema enzimatico fondamentale alla conversione degli androgeni in estrogeni.

In menopausa, l’enzima aromatasi svolge un ruolo chiave nella produzione di estrogeni, nonostante le ovaie non li producano più. L’aromatasi converte gli androgeni (ormoni maschili) prodotti dalle ghiandole surrenali in estrogeni in diversi tessuti, in particolare nel tessuto adiposo. Gli inibitori dell’aromatasi bloccano l’attività di questo enzima, riducendo così la produzione di estrogeni e vengono utilizzati principalmente nelle donne in menopausa, nel trattamento del cancro al seno.

Ecco alcuni punti chiave sull’aromatasi e la menopausa:

  • Funzione dell’aromatasi:

L’aromatasi è un enzima che converte gli androgeni (come il testosterone e l’androstenedione) in estrogeni.

  • Significato in menopausa:

Le ovaie perdono la loro capacità di produrre estrogeni durante la menopausa, ma l’aromatasi continua a convertire gli

androgeni periferici in estrogeni, quindi è importante in questo periodo.

  • Ruolo dei tessuti periferici:

L’aromatasi si trova in vari tessuti, inclusi fegato, tessuto adiposo e muscoli.

Sintomi vasomotori: ‘vampate di calore’

Rappresentano il disturbo più classico della menopausa.
Colpiscono più dell’70% delle donne, perdurano in media per un paio d’anni, ma in un 25% dei casi possono persistere per anche più di 5 anni.

Percentuale di donne interessate: >70%

Caratteristiche: Si manifestano con una sensazione di calore intenso che percorre tutto il corpo come un’onda; tale calore dura dai 30 secondi ai 3 minuti e termina solitamente con sudori freddi.
Possono ripetersi diverse volte nell’arco di un giorno. Il numero giornaliero di episodi può arrivare anche a 15-20.
Le vampate di calore notturne disturbano il sonno, provocando insonnia.

Si associano spesso a palpitazioni.

Non sono un fenomeno preoccupante, ma possono essere molto fastidiose e irritanti per chi le subisce.

Artralgia e dolori muscolari

Percentuale di donne interessate: 83%

Da cosa dipendono: con molta probabilità, sono strettamente correlate al calo degli estrogeni.

Caratteristiche: riducono l’elasticità e la motilità delle articolazioni.

Facilità all’affaticamento

Percentuale di donne interessate: 43%

Caratteristiche: è un sintomo di entità variabile, che in genere dipende da aspetti caratteriali preesistenti e/o da fattori socio-ambientali concomitanti.

 

Irritabilità e nervosismo

Percentuale di donne interessate: 49% e 47%

Da cosa dipendono: sicuramente dall’insonnia e dai deficit ormonali tipici della menopausa.
In alcune donne, è anche espressione del disagio che sviluppa la donna di fronte alla perdita della fertilità e della “giovinezza”.

Associazioni: accompagnano spesso il calo dell’umore.

 

Sudorazione notturna eccessiva

Percentuale di donne interessate: 44%

Caratteristiche: è associata al fenomeno delle vampate notturne.

Conseguenze: è di disturbo al sonno notturno, quindi una potenziale causa d’insonnia.

Cefalea

Percentuale di donne interessate: 45%

Da cosa dipende: si riscontra più spesso nelle donne con maggiori episodi di vampate di calore, sudorazione notturna e insonnia.

Insonnia

Percentuale di donne interessate: 38%

Da cosa dipende: dalle alterazioni ormonali e dalle vampate di calore notturne.

Calo dell’umore (depressione)

Percentuale di donne interessate: 33%

Si veda quanto riportato alla voce irritabilità e nervosismo.

 

Palpitazioni

Percentuale di donne interessate: 46%

Caratteristiche: sono conseguenza di un aumento  improvviso della frequenza cardiaca; in genere, sono transitorie.

Associazioni: possono accompagnare le vampate di calore.

Dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia)

Percentuale di donne interessate: 33%

Da cosa dipende: dall’atrofia vaginale.

Disturbi urinari

Percentuale di donne interessate: 38%

Da cosa dipendono: dall’alterazione dei tessuti connettivi che costituiscono vescica, uretra e tutte le altre strutture anatomiche deputate all’eliminazione dell’urina.

Secchezza vaginale

Percentuale di donne interessate: 26%

Da cosa dipende: dall’atrofia vaginale.

Il grasso viscerale o intra-addominale è il tessuto adiposo concentrato dentro la cavità addominale e distribuito tra gli organi interni e il tronco.

Si differenzia da quelli:

* sottocutaneo, concentrato nell’ipoderma (lo strato più profondo della cute);

* intramuscolare, distribuito tra le fibre dei muscoli (anche quest’ultimo sembra correlato in misura significativa all’insulino-resistenza);

* di tipo bruno, di modeste quantità e distribuito in maniera particolare, che ha la principale funzione di alimentare la termoregolazione (produzione di calore in caso di freddo ambientale).

Quando si parla di “grasso addominale” si fa un riferimento generico all’aumento della circonferenza vita, nonostante essa venga aumentata sia da quello viscerale sia da quello sottocutaneo. Basato su una distribuzione tipicamente androide, il grasso addominale stabilisce morfologicamente la cosiddetta conformazione “a mela”.

Obesità e deposito addominale

Il grasso viscerale “aumenta” all’aumentare del grasso corporeo totale. La prima causa è, pertanto, l’obesità/sovrappeso, a loro volta provocata da un bilancio calorico positivo in cronico (ovvero, nel lungo termine, mangiare di più rispetto al proprio dispendio calorico).

Tuttavia, non è detto che il sovrappeso determini obbligatoriamente l’aumento significativo della circonferenza vita, ma è vero anche il contrario cioè essere normopeso ma avere una circonferenza addominale eccessiva.Le donne fertili, in particolare, tendono statisticamente a depositare soprattutto a livello dei fianchi, delle natiche e delle cosce. Questa cosiddetta “conformazione a pera” o ginoide ha un impatto meno grave sullo stato di salute. Anch’esse, tuttavia, all’aumento del BMI (indice di massa corporea), prima o poi, inizieranno a depositare il grasso a livello addominale.

Quando l’obesità si associa a un deposito prevalentemente addominale si parla di obesità centrale. La necessità di differenziare questa forma di obesità da quella ginoide deriva dalla diversa influenza dei due fenotipi sul rischio cardiovascolare.

Il grasso viscerale può caratterizzare una condizione molto sfavorevole per la salute, chiamata “obesità sarcopenica” che consiste nel parallelo aumento del grasso corporeo e riduzione delle masse muscolari. E’ tipico della fascia di età adulta-avanzata ed è un pessimo predittore per la qualità e l’aspettativa di vita.

Nei soggetti adulti, si verifica una condizione simile, volgarmente chiamata “skinny-fat” A fronte di un BMI normale o quasi, queste persone presentano abbondante grasso viscerale e masse muscolari molto ridotte.

Perché è pericoloso?

Tra i due tipi di obesità, quella addominale si è chiaramente dimostrata più pericolosa, tanto da essere considerata uno dei più importanti fattori di rischio di morbidità e mortalità per malattie cardiovascolari, nonché uno dei principali fattori di rischio per il diabete di tipo II. L’esagerato accumulo di grasso centrale è inoltre associato alle complicazioni metaboliche e cardiovascolari tipiche della sindrome metabolica (ipertensione, iperlipidemia, steatosi epatica, aterosclerosi e il già citato diabete di tipo II).

Diversi studi hanno dimostrato una correlazione tra grasso viscerale e un aumento del rischio di tumori al colon-retto, pancreas, endometrio, rene e, in post-menopausa, anche di tumori al seno, polmone e gastrointestinali.

Le evidenze epidemiologiche sulla pericolosità del grasso viscerale sono state confermate in epoca più recente, grazie alla crescente mole di studi sulla funzione endocrina del tessuto o, meglio, dell’organo adiposo. Si è visto, in particolare, che il grasso addominale ha caratteristiche diverse rispetto a quello sottocutaneo, sia sotto il profilo cellulare sia sotto l’aspetto degli effetti che tali cellule espletano sull’equilibrio endocrino-metabolico dell’organismo.

È infatti dimostrato che gli adipociti bianchi del grasso viscerale sono particolarmente attivi nel rilascio di adipochine, sostanze dotate di effetti locali (paracrini), centrali e periferici (endocrini). Attraverso il rilascio diretto o indiretto di queste sostanze, il grasso viscerale controlla l’appetito e il bilancio energetico, l’immunità, l’angiogenesi, la sensibilità all’insulina e il metabolismo lipidico.

  • Una delle adipochine più conosciute, l’adiponectina, migliora la sensibilità insulinica ed è dotata di attività antinfiammatoria; tuttavia, i suoi livelli, a differenza di quelli di molte altre adipochine, sono più bassi nell’obesorispetto al normopeso. Per contro, l’eccesso di grasso viscerale aumenta il rilascio di sostanze quali l’interleuchina 6 (IL-6), la resistina e il TNF alfa  (citochine con attività pro-infiammatoria), il PAI-1 (effetto pro-trombotico) e l’ASP (attività stimolante sulla sintesi di trigliceridi ed inibitoria sull’ossidazione degli acidi grassi).
  • L’eccessivo aumento volumetrico degli adipociti, causato dal cospicuo accumulo di trigliceridi, ne determina la morte e la conseguente lisi da parte dei macrofagi, che aggrediscono i vacuoli lipidici con ulteriore aumento dello stato infiammatorio dell’organismo (salgono anche i livelli di proteina C reattiva attualmente considerata un importante fattore di rischio cardiovascolare).

Il numero di macrofagi presenti nel tessuto adiposo è proporzionale al grado di obesità o meglio all’ipertrofia degli adipociti tipicamente associata all’obesità. Si ha così una sorta di reazione da corpo estraneo, con conseguente infiammazione cronica che, se perpetuata nel tempo, predispone a importanti malattie metaboliche.

  • La riduzione nella sintesi e nel rilascio di ossido nitrico, un gas dalla potente azione vasodilatatoria, contribuisce a elevare ulteriormente il rischio aterosclerotico. Questo gas favorisce la lipolisi ed è uno stimolo di proliferazione delle cellule adipose brune, che al contrario di quelle bianche non accumulano i lipidi ma li bruciano, vuoi per mantenere la temperatura corporea negli ambienti freddi, vuoi per sbarazzarsi degli eccessi alimentari che altererebbero l’equilibrio metabolico. La sintesi di ossido nitrico, attivo anche nell’angiogenesi e nella mitocondriogenesi locale (che probabilmente impedirebbe la sopraccitata morte degli adipociti per ipossia da eccessivo accumulo lipidico), è inibita dal TNF alfa , un’adipochina rilasciata in grandi quantità dal tessuto adiposo bianco viscerale ipertrofico e dai macrofagi che l’aggrediscono.

La particolare collocazione anatomica del grasso viscerale fa sì che le adipochine e le altre sostanze rilasciate confluiscano direttamente nel sistema venoso portale, che le trasporta al fegato. Il ruolo metabolico di primo piano ricoperto da questa ghiandola contribuisce a spiegare la grande influenza del grasso viscerale sulla salute dell’intero organismo.

L’eccesso di grasso addominale è in diretto rapporto con la circonferenza della vita. In particolare, il rischio cardiovascolare diventa clinicamente rilevante quando si raggiungono i valori soglia di 94 cm di circonferenza a livello ombelicale nell’uomo e 80 cm nella donna.

  • Per cercare di spiegare la correlazione tra eccesso di grasso omentale e ipercolesterolemia, è stato dimostrato che l’elevato flusso di acidi grassi, provenienti dagli adipociti viscerali e diretti al fegato, aumenta la produzione di VLDL (che possono essere successivamente trasformate nelle pericolose LDL – colesterolo cattivo, che predispongono al processo ateromatoso). Promuove inoltre la gluconeogenesi e riduce la clearance epatica dell’insulina, con conseguente aumento dei livelli di quest’ormone in circolo. Oltre agli acidi grassi provenienti dai depositi adiposi viscerali, bisogna anche e comunque tener conto dell’azione delle adipochine stesse. L’interleuchina-6, ad esempio, a livello epatico stimola la gluconeogenesi e la secrezione di trigliceridi, con iperinsulinemia compensatoria.

L’elevata presenza in circolo di acidi grassi liberi fa sì che questi nutrienti si mettano “in concorrenza” con il glucosio per l’entrata nelle cellule, in particolare in quelle muscolari. Di conseguenza si verifica un aumento della glicemia, in risposta alla quale il pancreas aumenta il rilascio di insulina. Il doppio contributo epato-pancreatico all’iperinsulinemia fa sì che nonostante gli alti valori glicemici siano presenti in circolo grandi quantità di insulina; si parla, in questi casi, di insulino-resistenza, cioè di una condizione caratterizzata dalla ridotta risposta biologica dei tessuti all’azione insulinica. Non a caso, la rimozione chirurgica del tessuto adiposo viscerale in ratti moderatamente obesi è in grado di normalizzare l’insulino-resistenza.

L’insulino-resistenza e l’iperinsulinemia sono responsabili di tutte quelle alterazioni del metabolismo del glucosio che spaziano dall’alterata glicemia a digiuno, alla ridotta tolleranza al glucosio, fino al diabete conclamato. Queste alterazioni, unitamente a quelle altrettanto negative sul metabolismo lipidico, rendono ragione del maggior rischio cardiovascolare del soggetto con obesità viscerale rispetto al normopeso.

  • Il tessuto adiposo secerne anche leptina, un ormone che, agendo sull’ipotalamo, ha la funzione di regolare il bilancio energetico, riducendo l’appetito. Eppure, molti obesi dichiarano di avere costantemente fame, anche se le analisi del sangue rilevano la leptina alta. Questo può derivare da due condizioni: la prima è un difetto genetico, ad esempio dei recettori centrali della leptina stessa, la seconda è lo sviluppo di una resistenza alla leptina – a sua volta, dovuta a un difetto del meccanismo intracellulare o a una compromissione del suo trasporto attraverso la barriera ematoencefalica.

La resistenza alla leptina può manifestarsi proprio a causa dei livelli cronicamente alti di questo ormone oppure per altre ragioni: il gene correlato alla massa grassa e all’obesità, l’estradiolo (E2), il recettore attivato dal proliferatore del perossisoma, le vie di segnalazione della leptina nell’ipotalamo.

Come si elimina?

Caratteristica tipica del grasso viscerale è la maggiore sensibilità agli stimoli lipolitici, dal momento che l’azione della lipoprotein-lipasi omentale è del 50% maggiore rispetto a quella del grasso sottocutaneo.

In caso di dimagrimento, il primo grasso ad essere “bruciato” è proprio quello viscerale.

Ciò non toglie che anch’esso subordini agli stessi identici criteri essenziali del dimagrimento generalizzato: impostare un bilancio calorico negativo in cronico, mangiando meno di quanto si consuma, cioè l’esatto opposto di ciò che determina l’aumento del grasso corporeo.

L’entità del taglio calorico varia a seconda della gravità del sovrappeso, così come gli obiettivi periodici di calo ponderale: più chili in eccesso si hanno, maggiore è la tolleranza al taglio energetico e alla velocità di dimagrimento.

Mediamente, nelle persone con sovrappeso moderato, è applicabile un cut energetico di -350/-500 kcal die, per ottenere un dimagrimento di 0,5-1,0% del peso corporeo rilevato a inizio settimana ogni 7 giorni.

Un obeso con abbondante grasso viscerale, invece, può perdere anche ben più di un chilogrammo a settimana senza avere ripercussioni negative psicologiche e fisiche (deplezione di massa muscolare).

Anche la ripartizione dei macronutrienti è “normale”: circa il 20% (non >1,6 g/kg di peso fisiologico desiderabile, per preservare la massa muscolare), circa 1,0 g/kg di grassi o il 25-30 % di grassi (non <20% o >35%) e il resto da carboidrati.

Sul piano dell’allenamento, gli studi suggeriscono che tutte le modalità di esercizio aiutano a ridurre il grasso viscerale. L’effetto, tuttavia, sarebbe maggiore da parte dell’esercizio combinato tra allenamento aerobico e contro resistenza, seguito da quello solamente aerobico e, infine da quello contro resistenza.

Salute intestinale e menopausa

La stipsi è un problema comune in menopausa, causato principalmente dai cambiamenti ormonali, in particolare la riduzione degli estrogeni. Questo porta a un rallentamento della motilità intestinale, rendendo la defecazione più difficile. Altri fattori includono l’indebolimento dei muscoli pelvici e uno stile di vita più sedentario.

Cosa causa la stipsi in menopausa?

  • Cambiamenti ormonali:La diminuzione degli estrogeni può influenzare la motilità intestinale, rendendo la digestione più lenta.
  • Indebolimento dei muscoli pelvici:La perdita di tonicità muscolare può rendere difficile la defecazione.
  • Stile di vita sedentario:L’attività fisica ridotta può peggiorare la stipsi.
  • Alimentazione:Una dieta povera di fibre può contribuire alla stipsi.
  • Problemi emotivi:Lo stress e l’ansia possono influire sulla funzionalità intestinale.

Microbiota intestinale

La menopausa, con la sua fluttuazione ormonale, influisce significativamente sul microbiota intestinale, portando a una maggiore vulnerabilità alla disbiosi, ovvero a uno squilibrio nella flora batterica. Questo cambiamento può avere conseguenze sulla salute generale, compresi disturbi digestivi, aumento di peso, osteoporosi e un maggiore rischio di alcune malattie.

Come cambia il microbiota in menopausa?

* Calo degli estrogeni:

La diminuzione degli estrogeni, che sono fondamentali per la salute dell’intestino, altera la composizione del microbiota, favorendo la proliferazione di batteri patogeni.

* Disbiosi intestinale:

La disbiosi si verifica quando i batteri patogeni prendono il sopravvento sui batteri benefici, causando uno squilibrio nella flora intestinale.

* Riduzione della biodiversità:

La menopausa può ridurre la diversità dei batteri intestinali, rendendo l’intestino più vulnerabile a infezioni e malattie.

Conseguenze della disbiosi intestinale in menopausa:

* Disturbi digestivi:

Gonfiore, stipsi, diarrea e difficoltà digestive sono comuni in menopausa e possono essere aggravati da uno squilibrio del microbiota.

* Aumento di peso:

La disbiosi può influire sul metabolismo e sull’assorbimento dei nutrienti, favorendo l’aumento di peso.

Il microbiota intestinale può influire sull’estrazione di calorie dal cibo, e in alcuni casi può favorire un aumento della quantità di calorie assorbite. In particolare, alcuni ceppi batterici, come quelli appartenenti al phylum Firmicutes, sono più efficienti nel digerire i carboidrati e nel convertire i polisaccaridi in monosaccaridi, aumentando così l’energia disponibile per l’organismo.

* Osteoporosi:

Alcuni studi suggeriscono un legame tra disbiosi e perdita ossea, con conseguente aumento del rischio di osteoporosi.

* Malattie croniche:

La disbiosi può essere associata a un aumento del rischio di malattie come il cancro e la sindrome metabolica.

* Sistema immunitario compromesso:

Lo squilibrio intestinale può compromettere il sistema immunitario, rendendo il corpo più suscettibile a infezioni e malattie; regolazione permeabilità intestinale.

*Effetti metabolici del microbiota: produzione di vitamine K, b12, folati; conversione colesterolo in coprostanolo; regolazione circolo enteroepatico degli steroidi sessuali; regolazione della motilità intestinale anche grazie alla produzione di acidi grassi a catena corta utili per stimolare peristalsi.

*Se alterato, produzione di sostanze cangerogene e affaticamento funzione epatica

 

Come il microbiota può aumentare l’estrazione di calorie:

  • Fermentazione di carboidrati complessi:

Alcuni batteri intestinali possono scomporre i carboidrati complessi, come la cellulosa, che l’organismo umano non riesce a digerire, in zuccheri semplici che possono essere assorbiti; questo determina un ulteriore motivo di incremento del peso

  • Alterazione dell’assorbimento di nutrienti:

Il microbiota può anche influenzare l’assorbimento di altri nutrienti, come i grassi, attraverso la produzione di sostanze che alterano la funzionalità del sistema digestivo.

Ad esempio, in uno studio, i ricercatori hanno scoperto che i topi con un microbiota intestinale “obeso” erano in grado di estrarre circa il 2% in più di calorie dal cibo rispetto a quelli con un microbiota “normale”. Questo suggerisce che la composizione del microbiota può influire sulla quantità di energia che l’organismo ottiene dai cibi che consuma.

In sintesi: il microbiota intestinale svolge un ruolo attivo nella digestione e nell’assorbimento dei nutrienti, e alcune modifiche nella sua composizione possono portare a un aumento dell’estrazione di calorie dal cibo. Questo è un fattore che può contribuire all’aumento di peso e all’obesità.

Come proteggere il microbiota in menopausa?

* Dieta equilibrata:

una dieta ricca di fibre, vegetali, frutta e verdura può aiutare a mantenere un microbiota sano.

* Supplementi di probiotici:

i probiotici possono aiutare a ristabilire l’equilibrio del microbiota e a combattere la disbiosi.

* Uno stile di vita sano:

L’attività fisica regolare, il sonno adeguato e la riduzione dello stress possono favorire la salute intestinale.

* Evitare alimenti processati, zuccheri e grassi saturi:

Questi alimenti possono peggiorare la disbiosi e contribuire a problemi digestivi.

* Rendere i lattobacilli e soprattutto i bifidi alleati:

Il consumo di lattobacilli e in particolare bifidobatteri, che sono batteri benefici per l’intestino, può aiutare a migliorare la salute intestinale.

Farmaci e menopausa

L’approccio deve essere super personalizzato e multidisciplinare

Come ultima ratio dopo aver spiegato tutti i tipi di approccio legati al cambiamento dello stile di vita ed all’uso di integratori, abbiamo in casi selezionati la possibilità di utilizzare Semaglutide o Tirzepatide

Semaglutide

Come funzionano gli agonisti GLP-1RA:

  • Migliorano il controllo della glicemia:

stimolano la secrezione di insulina dal pancreas quando la glicemia è alta, e inibiscono la secrezione di glucagone, un ormone che aumenta la glicemia.

  • Riducano l’appetito:

possono rallentare lo svuotamento gastrico e aumentare la sensazione di sazietà, contribuendo così alla perdita di peso.

  • Riducano il rischio cardiovascolare:

alcuni studi suggeriscono che gli GLP-1RA possano ridurre il rischio di eventi cardiovascolari, come attacchi di cuore e ictus.

La semaglutide è un farmaco antidiabetico che appartiene alla classe degli agonisti del recettore del GLP-1 (glucagon-like peptide-1). Viene utilizzata per trattare il diabete di tipo 2 e, in alcuni casi, per aiutare nella gestione del peso. Agisce stimolando la secrezione di insulina e riducendo la secrezione di glucagone, entrambi ormoni coinvolti nel controllo della glicemia. Inoltre, la semaglutide può ridurre l’appetito e favorire una sensazione di sazietà, contribuendo alla perdita di peso.

Maggiori dettagli sulla semaglutide:

* Utilizzi:

è approvata per il trattamento del diabete di tipo 2, dove aiuta a controllare i livelli di zucchero nel sangue, secondo l’Associazione Medici Diabetologi. È anche utilizzata per la gestione del peso, aiutando a perdere peso e a mantenerlo, secondo My-personaltrainer.it.

* Meccanismo d’azione:

imita l’azione dell’ormone GLP-1, stimolando la secrezione di insulina quando i livelli di zucchero nel sangue sono alti, e riducendo la secrezione di glucagone quando sono bassi. Questo aiuta a mantenere stabili i livelli di glucosio nel sangue.

* Effetti collaterali:

gli effetti collaterali più comuni sono di tipo gastrointestinale, come nausea, vomito, diarrea e stipsi. In alcuni casi, si possono verificare anche altri effetti collaterali, come calcoli biliari o pancreatiti.

* Farmaci a base di semaglutide:

esistono diversi farmaci a base di semaglutide, come Ozempic (per il diabete) e Wegovy (per la gestione del peso),

* Studi recenti:

uno studio recente ha dimostrato che la semaglutide può ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori in pazienti con obesità e malattia cardiovascolare preesistente.

In sintesi, la semaglutide è un farmaco versatile utilizzato per il trattamento del diabete e per la gestione del peso, che agisce influenzando il metabolismo glucidico e la sensazione di sazietà.

 

Tirzepatide

I recettori GLP1 e GIP sono presenti nelle cellule endocrine α e β del pancreas, nel cuore, nel sistema vascolare, nelle cellule immunitarie (leucociti), nell’intestino e nei reni. I recettori del GIP sono presenti anche sugli adipociti. Inoltre, entrambi i recettori GIP e GLP-1 sono espressi nelle aree del cervello importanti per la regolazione dell’appetito. Studi sugli animali dimostrano che tirzepatide si distribuisce e attiva i neuroni nelle regioni del cervello coinvolte nella regolazione dell’appetito e dell’assunzione di cibo. Studi sugli animali dimostrano che tirzepatide può modulare l’utilizzo dei grassi attraverso il recettore GIP. Negli adipociti umani coltivati in vitro, tirzepatide agisce sui recettori del GIP per regolare l’assorbimento del glucosio e modulare l’assorbimento dei lipidi e la lipolisi.

Stimolare il recettore GIP significa far sì che il recettore GIP (Polypeptide Insulinotropico Glucosio-Dipendente) venga attivato e che svolga la sua funzione. In pratica, significa indurre il GIP a rilasciare insulina in risposta all’aumento di glucosio nel sangue, o a svolgere altri effetti fisiologici legati al suo funzionamento.

Elaborazione:

Il recettore GIP è un recettore cellulare presente nelle cellule beta del pancreas, ma anche in altri tessuti come il tessuto adiposo. Quando il GIP (ormone prodotto dall’intestino) si lega al suo recettore, attiva una cascata di eventi che porta al rilascio di insulina che, a sua volta, aiuta a ridurre i livelli di glucosio nel sangue, favorendo l’ingresso del glucosio nelle cellule per essere utilizzato come fonte di energia.

Oltre a stimolare la secrezione di insulina, il GIP può anche:

  • Ridurre la motilità gastrica e la secrezione acida nello stomaco.
  • Aumentare il flusso ematico nel tessuto adiposo, favorendo la captazione degli acidi grassi.

L’attivazione del recettore GIP può essere indotta naturalmente dall’ingestione di alimenti, in particolare grassi, che stimolano la produzione di GIP. Inoltre, alcuni farmaci, come i doppiagonisti recettoriali GIP/GLP-1, sono progettati per stimolare il recettore GIP e, in combinazione con il GLP-1, per potenziare l’effetto insulinico.

Le indicazioni all’uso della Tirzepatide sono le seguenti:

un indice di massa corporea (IMC) iniziale di

  • ≥30 kg/m2(obesità), o
  • da ≥ 27 kg/m2a < 30 kg/m2 (sovrappeso) in presenza di almeno una co-morbidità correlata al peso (ad esempio ipertensione, dislipidemia, apnea ostruttiva nel sonno, malattia cardiovascolare, prediabete o diabete mellito di tipo 2).

Tirzepatide è un farmaco innovativo utilizzato per il trattamento del diabete di tipo 2 e dell’obesità, disponibile in Italia con il nome commerciale Mounjaro. Agisce come un doppio agonista recettoriale per il peptide insulinotropico glucosio-dipendente (GIP) e il peptide 1 simile al glucagone (GLP-1), aumentando la produzione di insulina e riducendo l’appetito.

Caratteristiche principali di tirzepatide:

* Duplice agonista: Agisce su due recettori coinvolti nel controllo della glicemia e del peso corporeo.

* Aumento della produzione di insulina: Stimola la produzione di insulina in risposta ai nutrienti ingeriti, migliorando il controllo glicemico.

* Riduzione dell’appetito: Contribuisce alla perdita di peso riducendo l’assunzione di cibo.

* Disponibile in Italia: Mounjaro è disponibile in Italia per il trattamento del diabete tipo 2 e, in alcuni casi, per l’obesità.

* Somministrazione settimanale: Si somministra per via sottocutanea una volta alla settimana. .

Benefici e usi:

  • Trattamento del diabete di tipo 2:

migliora il controllo glicemico e riduce i fattori di rischio cardiovascolare.

  • Gestione del peso corporeo:

aiuta a perdere peso e a mantenere il peso a livelli più sani, soprattutto in pazienti con sovrappeso o obesità.

  • Prevenzione del diabete:

potrebbe aiutare a prevenire la progressione dal prediabete al diabete di tipo 2, soprattutto in pazienti con sovrappeso o obesità.

* Tirzepatide è generalmente ben tollerato, ma può causare effetti collaterali come nausea, diarrea e vomito.